Da qualche mese su Amazon Prime Video la visione di questo meraviglioso omaggio ad una delle leggende irsute della WWF regala numerosi spunti ai cultori dei vicini del naso
Nella storia del wrestling pochi personaggi sono riusciti a lasciare un segno così marcato del loro passaggio sul ring come The Iron Sheik, “lo sceicco di ferro” al secolo Hossein Khosrow Ali Vaziri. Una figura leggendaria nel campo dell’intrattenimento sportivo professionistico che per oltre un decennio ha bullizzato la WWF (World Wrestling Federation) con tanto di kefiah in testa, stivali arricciati e vigorosi baffi a manubrio. I folti vicini del naso accompagnati dal cranio rasato e dal fisico scultoreo dello sceicco di ferro contribuivano a terrorizzare gli avversari caratterizzando fortemente lo stile di questo lottatore che sin dal suo debutto nella WWF si è saputo affermare come uno dei villain più vincenti e odiati del circuito.
Lo sceicco di ferro in una delle sue epiche sfide con clave persiane da allenamento
A tal proposito recentemente su Amazon Prime Video è uscito un gustoso documentario su questo leggendario personaggio datato 2014 e intitolato Iranian Legend: The Iron Sheik Story.
L’idea di raccontare la parabola esistenziale di questo irsuto forzuto è dei gemelli di origine iraniana Jian e Page Magen che venuti a conoscenza del dissesto finanziario e delle tendenze autodistruttive dell’ex stella del wrestling, hanno voluto rilanciarne la carriera con questo lungometraggio che è riuscito nell’intento di salvare il loro eroe dell’infanzia da una fine misera e prematura.
La narrazione parte dalla periferia di Tehran con il giovane Vaziri, figlio di genitori umili, che avvia la sua carriera nel campo della lotta libera amatoriale seguendo le orme di Gholamreza Takhti, mito dello sport iraniano dell’epoca, pluricampione internazionale della disciplina.
Le intense sessioni di allenamento portarono presto Vaziri ad avere un fisico massiccio e grazie alla sua prestanza entrò giovanissimo come guardia del corpo dello Shah di Persia Mohammad Reza Pahlavi. Nel 1968 i suoi risultati nella lotta lo portarono alla convocazione nella nazionale iraniana di lotta libera e lo stesso anno partecipò anche alle Olimpiadi di Città del Messico. L’anno successivo si trasferì negli Stati Uniti dove diventò assistente coach della nazionale olimpica statunitense seguendo gli atleti a stelle e strisce nelle olimpiadi di Monaco del ’72. Nello stesso anno inizia la sua carriera nel wrestling e per lui venne scelto il soprannome di The Great Hossein Arab, un heel (un fellone del ring) con un gimmick (nel gergo del wrestling rappresenta il personaggio e l’atteggiamento del character) molto aggressivo alimentato da un look che accentuava gli stereotipi legati al mondo arabo (turbanti, scarpe alla Aladino e a volte anche divise militari degli “Stati canaglia” mediorientali nemici degli USA).
Chi non ama questo video con lo sceicco accompagnato dal Generale Mustafà è chiaramente un Jabroni
A dir la verità prima di lui vi erano stati altri atleti che avevano sfruttato i loro legami con il mondo arabo per creare personaggi che potessero fomentare l’odio del pubblico. Il più celebre era Edward George Farhat conosciuto come The Sheik e in seguito The Original Sheik (per distinguersi dal nuovo Iron Sheik) un lottatore del Michigan di origini libanesi che prima di Vizali interpretò la parte del ricco sceicco pazzo e selvaggio. Dotato di una carnagione olivastra e di tratti tipicamente arabeggianti il capostipite degli Sheik del wrestling si presentava sul ring con un bel baffone a ferro di cavallo e fu lui per la prima volta a “brevettare” il genere del fellone del Medio Oriente con kefieh, turbanti e mosse al limite del regolamento. Di lui si ricordano diverse amene interviste nelle quali faceva finta di non parlare americano comunicando con media e pubblico a suon di “aloo, aloo” (storpiatura di “Hello, hello”). Tornando all’Iron Sheik del documentario c’è da dire che il suo rapporto con i media si differenziò parecchio rispetto al suo predecessore dal momento che realmente Sheik aveva difficoltà a parlare un corretto inglese avendo vissuto per molto tempo in Iran. Tuttavia fu capace di arginare il gap della lingua arricchendo il suo frasario di parole inventate di sana pianta come il celebre “Jabroni”, un’ingiuria rivolta a persone inette buona per tutte le stagioni, utilizzata dal lottare per evitare l’eccessivo sproloquio televisivo (incredibilmente tale termine è diventato di uso comune negli States).
Grazie a questo suo inglese sgangherato al suo look aggressivo e alle sue provocazioni rivolte al pubblico in questa specie di americano misto al farsi, l’Iron Sheik riusciva a mandare su tutte le furie il pubblico americano della WWF in un’epoca in cui il wrestling era equiparato allo sport e non era ancora soltanto, dichiaratamente, intrattenimento (in molti credevano che gli atleti sul ring si picchiassero per davvero). Le vittorie dell’atleta iraniano che tenne la cintura di campione della WWF per 4 settimane non erano così tollerate e in alcune occasioni, lo stesso Iron Sheik rischiò il linciaggio dovendo fuggire da uscite secondarie per non finire nelle mani di folle schiumanti rabbia.
Il suo regno fu interrotto il 23 gennaio del 1984 dall’emergente Hulk Hogan, l’emblema dell’epoca d’oro del Wrestling che segnò il cambio generazionale con i wrestler del passato. Inversione di tendenza netta che un osservatore più attento rileverà anche nella successione dei baffi dei due campioni (dal manubrio nero di Sheik al ferro di cavallo biondo quasi ossigenato di Hogan). Dopo la sconfitta dell’Iron Sheik fu rapidissimo anche il declino di questa icona del ring trascinata nel fango da uno scandalo per uso di stupefacenti. A seguito della radiazione dalla WWF e da tutti i più importanti circuiti, il wrestler iraniano si ritrovò a guadagnarsi la pagnotta nelle fiere di paese lontano dai riflettori e dalle grandi platee. Per il lottatore si aprì un capitolo buio della sua vita che lo portò a sprofondare nel tunnel della droga fino al recente riscatto del 2014 quando venne girato il documentario e Sheik capì di essere ancora nel cuore della gente tornando a “lottare” con i Social Media.
Negli ultimi anni infatti il suo profilo Twitter (@the_ironsheik) è diventato quasi un fenomeno mediatico negli States e ora vanta oltre mezzo milione di follower. A 78 anni suonati, questo baffone del ring è tornato sulla cresta dell’onda e continua a rifilare sganassoni attraverso i suoi tweet che, con condita sagacia e il classico slang sgangherato e prepotente, commentano fatti di cronaca e attualità.
I MAKE THE CORONA VIRUS HUMBLE pic.twitter.com/TELXMI8XdI
— The Iron Sheik (@the_ironsheik) April 23, 2020
Qui l’Iron Sheik rende umile il Coronavirus
Come molti altri bambini della mia generazione anche io ho vissuto sulla mia pelle l’esplosione televisiva del wrestling, e il fulgore dei coloratissimi match della WWE quando, a cavallo tra anni ’80 e ’90, iniziava a diffondersi l’Hulkmania e gli ospedali si riempivano di ragazzini con magliette strappate e ossa fracassate nel tentativo di emulare i loro idoli del ring e in esplosioni di “violenza crossmediale” cercavano magari di toccare qualche punto di pressione lanciando gragnuole di “serciate” alla Ken Shiro. Ricordo memorabili risse con i miei compagni di classe con tanto di mosse speciali e tentativi di supplex, a mio avviso è davvero un miracolo che nessuno di noi abbia preso la corsa diretta per l’Ade… Sono a tutti gli effetti un sopravvissuto. In memoria di quei pomeriggi spensierati, dopo essermi goduto questo straordinario documentario di ascesa, caduta e rivincita, mi sembrava il minimo tributare un pezzo al leggendario Sceicco che forse, ora che ho avuto modo di ripensarci, ha avuto un peso non indifferente nella costruzione del mio immaginario baffuto.