Insieme ai Matsés, questa tribù che vive nelle foreste al confine tra Perù e Brasile, decora il proprio corpo per somigliare al temibile predatore della selva
Tra le tante popolazioni che vivono nella selva amazzonica del Sudamerica il popolo dei Matis condivide con i cugini Matsés o Mayoruna – appartenenti entrambi al ceppo linguistico Pano ma con importanti distinzioni grammaticali e lessicali – un’ancestrale passione per i baffi. Sebbene molti di loro siano dotati per natura di mustacchi, nelle loro tradizioni sono previste alcune decorazioni che impreziosiscono il viso con dei baffi posticci applicati come degli ancestrali piercing sul naso e nella regione del labbro superiore della bocca.
Questo tipo di decorazioni non sono appannaggio esclusivo degli uomini visto che anche le donne dei Matsés abbelliscono il loro volto applicando delle lunghe asticelle di legno a lati del naso. Piercing ancestrali accompagnati spesso da tatuaggi e pitture facciali che sembrano completare ed estendere queste applicazioni lignee e che ricordano i baffi del giaguaro (i Matsés sono anche chiamati la popolo giaguaro), il super predatore della selva amazzonica al quale questi nativi si ispirano nelle loro battute di caccia, anche se alcuni studiosi vorrebbero che la derivazione di questi ornamenti facciali trovi origine nella natura stessa della selva traendo spunto dalle lunghe foglie delle palme.
A tal proposito vale la pena citare la parola Demush che in lingua Matsés può significare sia “baffi di giaguaro”o “barbigi di salmone di fiume” che anche per l’appunto questi “bastoncini appuntiti” che i nativi usano per decorazione. Nel corso di alcuni rituali questi lignei mustacchi posticci vengono sostituiti da piume di uccelli della selva in particolare da quelle dei pappagalli Ara, animali sacri per i Matis.
Gli stessi “baffi piumati” sono presenti nelle maschere che vengono utilizzate per rappresentare Mariwin, spirito della selva e divinità che incarna gli antenati ancestrali di questa tribù e che si manifesta durante i riti di passaggio “all’età adulta” dei giovani Matis, accompagnando i primi tatuaggi e le prime perforazioni facciali.
E’ interessante in questa sede sottolineare come questa sorta di nume positivo – al quale insieme alla “supervisione sacra” dei più giovani si deve anche la crescita dei piccoli orti che i Matis coltivano in prossimità delle loro abitazioni tribali – nell’immaginario comune di questo popolo sia caratterizzato da una fitta coltre di pelo che avvolge il suo corpo, non solo robusti baffi a guisa di piuma ma anche lunghi capelli.
La sua controparte negativa il “demone” Maru – adottiamo per comodità un metro di descrizione manicheo che certamente non appartiene ai Matis ma che risulta senz’altro utile al lettore occidentale per cultura in “equilibrio” tra inferno e paradiso – è caratterizzato invece da un’assenza totale di pelosità e ornamenti, un’entità glabra e malvagia (o malvagia e per questo glabra) che secondo la mitologia Matis inganna gli uomini che si trovano nella selva riuscendo a volte ad ucciderli o a farli scomparire (vedi P. Erikson, La face cachée de l’ancestralité. Masques et affinité chez les Matis d’Amazonie brésilienne in Journal de la Société des Américanistes, 2004, pp. 119-142).
Come quasi tutte le popolazioni della selva amazzonica sia i Matis che i Matsés hanno sofferto l’incontro con l’uomo bianco non solo a causa delle malattie introdotte dal vecchio continente, che hanno decimato queste due popolazioni native, ma anche per la restrizione e l’inquinamento del loro territorio dovuto al sistematico sfruttamento del sottosuolo di questa area dell’Amazzonia che pare esser ricca di petrolio, oro e altri minerali preziosi.
L’assegnazione di terre ai coloni da parte dei governi di Perù e Brasile ha inoltre di fatto limitato il territorio dei Matis e dei Masés contribuendo alla distruzione dell’habitat, della fauna e della flora con cui queste popolazioni erano abituate a sostentarsi.
I missionari cattolici hanno poi messo la proverbiale ciliegina sulla torta importando un sistema di vita e di credenze che con il tempo rischia di disgregare in maniera irreparabile la conoscenza di questi due popoli, antichi abitanti della selva ed eredi di inestimabili conoscenze ancestrali.
Da non sottovalutare anche l’impatto del crescente flusso di turismo di lusso o “ecoradical” che mina il sistema di vita tradizionale di questi popoli, sempre più simile e adattato – soprattutto per motivi di profitto – ai gusti degli occidentali (la foto vicino al nativo oggi è più in voga del selfie con il vip nel privée di una discoteca).
Gli stessi matis, che oggi sono meno di 400 individui (i matsés sono invece poco meno di 4000), hanno subito una durissima campagna di repressione da parte dell’esercito peruviano che al termine degli anni ’70 è arrivato persino a bombardare con il Napalm alcuni dei loro villaggi decimandone i numeri.
Sebbene il FUNAI (Fundação Nacional do Índio del Brasile) stia portando avanti un programma di salvaguardia per questi popoli, il rischio che nel giro di qualche anno il patrimonio culturale di questi baffuti abitanti della selva venga irreparabilmente perduto resta ancora estremamente alto. Ci auguriamo ovviamente che tutto questo non accada e che gli sfuggenti e affascinanti Matis con i loro “cugini” Matsés riescano a resistere alle pressioni “globaliste” continuando a tramandare la propria baffuta e ancestrale tradizione in Amazzonia.
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