Una retrospettiva irsuta su una delle pellicole più riuscite del grande regista italiano
Se uno dei più grandi registi italiani come Pietro Germi soleva portare i baffi, non può essere un caso se uno dei suoi film più famosi e riusciti abbia come tratto distintivo proprio i mustacchi. Parliamo di Signore e Signori, molto più di una semplice pellicola in grado di cristallizzare vizi, molti, e virtù, poche, della squallida e bigotta provincia italiana del boom economico.
Molti dei personaggi che si susseguono nel corso di tutto lo sceneggiato hanno infatti come tratto peculiare i baffi, tanto che, lanciandoci in un signor volo pindarico, potremo analizzarli ed essere in grado di tracciare ritratti molto fedeli di un’umanità come la nostra, variegatissima tra le miserie ed i successi della vita.
Senza voler rivelare la trama di quella che è una commedia grottesca bellissima, e che quindi consigliamo a tutti di vedere, partiamo subito col dire che tutta la storia si svolge in un modo o nell’altro lungo un filo conduttore pressoché unico: quello delle corna, o del tradimento coniugale propriamente detto, e della conseguente reazione di una comunità retrograda ed incline al pettegolezzo in anni in cui il divorzio (1965) era ancora visto o come un miraggio o come un abominio (entrerà in vigore solo nel ’70 e a costo di accese polemiche).
I personaggi sono grosso modo sempre gli stessi e si dipanano lungo tre storie principali intrecciate tra di loro. Il primo che andiamo ad analizzare è il seduttore, ovvero nella finzione scenica Alberto Lionello nei panni di Toni Gasparini, che presenta un baffo molto fino, quasi spelacchiato, in grado di renderlo di primo impatto non antipatico ma inaffidabile. Insomma il tipico personaggio da non far mai entrare dentro ad un bar o in un qualsiasi comitiva d’amici. Il perché è semplice visto che nel primo e nel terzo episodio dimostrerà molto bene la sua indole: prima sfruttando benissimo, quasi da serpente, una serie di fraintendimenti alimentati proprio da lui per sedurre a discapito del suo amico Giacinto Castellan nientemeno che la moglie.
Fraintendimenti tutti incentrati sulla sua virilità. E chissà che Germi non abbia voluto dargli proprio un aspetto poco virile grazie a dei baffi decisamente “spenti”. Quindi lo ritroviamo nel terzo filone narrativo come secondo profittatore e megafono delle virtù della contadinella definita “bianca come el late e dura come el marmo” ma tutt’altro che sprovveduta visto il suo cinismo. Sarà solo l’ultimo sacrificio della moglie, che poi chissà se lo si possa definire proprio così, a levare le castagne dal fuoco a lui e alla sua lubrica compagnia in una sorta di contrappasso tanto esilarante quanto equo.
Secondo personaggio principale è il ragionier Osvaldo Bisigato, interpretato da Gastone Moschin, che meglio di tutti rappresenta le contraddizione di un Paese come il nostro incapace di fare i conti, oggi come negli anni ’60, con le sue contraddizioni storiche ed i suoi eccessivi moralismi di facciata: Bisigato è incastrato in un matrimonio che somiglia più ad una condanna a vita, con una moglie oppressiva e priva di ogni femminilità. Così quando cercherà di rifarsi una vita con la giovane ed affascinante cassiera Milena Zulian, una bellissima Virna Lisi, tutti a partire dal clero e dai carabinieri cercheranno di farlo tornare sui suoi passi spiegando come il tradimento sia più socialmente accettabile, anche se continuativo, rispetto ad un abbandono del tetto coniugale (ricordiamo che il divorzio ancora non esisteva).
Insomma meglio un matrimonio vuoto e nei fatti finito piuttosto che lo scandalo. Sembra incredibile vedere come i brevi momenti di felicità di Moschin/Bisigato coincidano proprio con la fuga d’amore e con un taglio tutto nuovo del suo mustacchio: appena iniziata la relazione adulterina con la Lisi/Zulan deciderà infatti di abbandonare la barba curatissima per un paio di baffi sobrio e statuario. Belli e maledetti però, visto che non saranno destinati a durare con un finale decisamente epico: il ritorno della barba, e quindi della noia e della prigione sentimentale, coincide con la fine della felicità ed un tentato suicidio dal sapore liberatorio.
Completano il quadro baffuto di questa comitiva di conoscenti e amici il farmacista del paese Franco Zaccaria, alias Giulio Questi, e Giovanni Soligo, alias Quinto Parmeggiani. Due ruoli minori per loro ma comunque da protagonisti nella corruzione di minore di cui saranno accusati nel terzo episodio: nessuno dei due si farà sfuggire la procace Alda Cristofoletto e le sue grazie.
Poco o nulla si sa dei rispettivi ruoli nella finzione scenica, salvo che il primo gestisce appunto la farmacia di famiglia mentre il secondo è un imprenditore edile interessato più agli affari, e alle avventure, che alle attenzioni per la moglie alcolista. Ciò che li accomuna potrebbe essere oltre ad una certa disinvoltura affettiva un taglio di baffi molto simile, folto e caratteristico in grado di tracciare subito una certa mascolinità che del resto cercano di soddisfare non appena gli si presenta occasione.
La nostra è e resta un’interpretazione in libertà di quel capolavoro che è il cinema di Germi. Cercare di dare un metro di giudizio ad ogni baffo presente all’interno del film è un’idea personale e divertente, ma conoscendo la passione per i dettagli del regista siamo sicuri che tutto non possa essere solo frutto delle coincidenze, a maggior ragione se il ruolo del cornuto per eccellenza all’interno della storia sia stato dato a Gigi Ballista/Professor Giacinto Castellan che oltre ad essere sbarbato come un pupo era nella vita reale uno dei pochi attori ad aver dichiarato apertamente la sua omosessualità. Segno, alle volte, che il diavolo o il glabro si riconosce dai dettagli.