Dal Bartitsu dell’inglese Barton-Wright, agli insegnamenti del marzialista avventuriero Hoyer Monstery al trattato di autodifesa di Giannino Martinelli
A cavallo tra XVIII° e le prime decadi del IXX° il bastone da passeggio è stato un tratto caratteristico del gentiluomo baffuto, elegante compagno di legno (i più pregiati di corniolo, nocciolo o canna di malacca) ed impareggiabile alleato nelle dispute di strada. Negli anni del boom demografico delle città, le forze di polizia si sono dimostrate impreparate nel compito di mantenere l’ordine con turme di malintenzionati che popolavano le strade insidiando l’incolumità di flâneur, galantuomini e signori. Anche per questo il bastone da passeggio, a volte temibilmente animato (con una lama fissata sul calcio e nascosta nel fusto) è stato l’ancora di salvezza per diversi irsuti passeggiatori nell’epoca d’oro dei baffi. Bisogna precisare che lo strumento in questione non ha origini prettamente nobiliari. Se infatti i re portavano lo scettro come tratto peculiare del loro potere, la scena rurale era popolata da capibastone così chiamati proprio per la loro abilità nell’uso di tale arma.
Tuttavia proprio in questi anni, l’alta società volle adottare il bastone come segno di riconoscimento del proprio lignaggio e investì l’oggetto di una rinnovata utilità quale impareggiabile strumento per la difesa personale. Sebbene spesso si ricorresse ancora alle spade per redimere a dovere questioni d’onore nei duelli, lo studio della sola scherma, si rivelò presto inutile nelle dispute da strada e per difendersi da malfattori, ladri e balordi con l’impossibilità di girare armati per i divieti sulle armi da taglio disposti dalle leggi dell’epoca. Anche per questo vennero sviluppati sistemi di autodifesa pratici che prevedessero l’utilizzo del classico corredo del gentiluomo (bastoni da passeggio e ombrelli), colpi a mani nude, proiezioni e prese per salvare la pelle in situazioni di pericolo. Venivano allora gettati i semi delle moderne arti marziali e diversi maestri in Europa e al di là dell’oceano codificavano pratici sistemi che sfruttassero il fedele compagno di viaggio della borghesia e della nobiltà dell’epoca, da la canne francese, alla nostra Scherma con il bastone passando per lo Stickfighting inglese.
In Inghilterra uno dei precursori di queste discipline fu Edward William Barton-Wright. Questo insigne baffuto nato a Bangalore in India, allora colonia inglese, negli ultimi anni dell’800, aprì a Londra una scuola di arti marziali dove ai suoi allievi insegnava la pratica del Bartitsu. Il nome della disciplina fonde quello del Ju Jitsu (che Barton-Wright ebbe la fortuna d’imparare in un suo soggiorno di tre anni in Giappone presso la rinomata scuola di Jigoro Kano) e le iniziali del suo cognome. Proprio Barton-Whright fu un pioniere delle arti marziali portando al Bartitsu Club, aperto nella capitale inglese al 67B di Shaftesbury Avenue, nomi insigni delle arti marziali dell’epoca quali i giapponesi K. Tani, S. Yamamoto, e Yukio Tani (esperti di Judo e Ju Jitsu) e i francesi Pierre Vigny e Armand Cherpillod (esperti di Savate e combattimento con il bastone o Canne).
In alcuni articoli apparsi sul Pearson’s Magazine tra il 1899 e il 1902, questo baffutissimo precursore delle MMA spiegava i principi della sua arte che prevedeva un sistema di combattimento a lunga distanza con pugni e calci, presi in prestito dalla Boxe inglese e dalla Savate francese, leve articolari e proiezioni per il corpo a corpo riadattate dal Judo e dal Ju Jitsu Giapponese, mentre per la scherma con il bastone venivano adottati i precetti della scuola di canne francese, offrendo un valido approccio alla difesa personale che ebbe un largo esito negli anni della Londra edoardiana.
Lanuginosamente splendide le immagini proposte dal Pearson’s magazine a corredo degli articoli apparsi nella medesima rivista in cui è possibile apprezzare il vistoso baffo a manubrio di Barton-Wright esibire le sue tecniche con altrettanti irsuti compagni di allenamento. La popolarità del Barjitsu all’epoca fu così ampia che lo stesso Sir Arthur Conan Doyle, ideatore di Sherlock Holmes, usò l’espediente del Bartitsu (chiamato erroneamente Baritsu) nel racconto The Adventure of the Empty House (l’avventura della casa vuota) per far rivivere il suo detective dopo che questi aveva trovato la morte nello scontro con la sua nemesi il professor Moriarty ne L’ultima avventura, atto finale del romanzo Il mastino dei Baskerville.
Nel racconto dove Holmes “resuscita”, l’astuto indagatore si liberò del suo acerrimo nemico scagliandolo giù per le cascate del Reichenbach a seguito di un duro corpo a corpo in cui fece valere la sua conoscenza del Bartitsu. L’ascesa nelle arti marziali di Barton-Whright fu rapida quanto il suo declino; la sua scuola londinese d’arti marziali infatti chiuse i battenti nel 1903. Mentre alcuni suoi meno noti allievi continuarono a diffondere il Bartitsu in altre scuole d’Inghilterra, il mustacchiuto maestro si convertì per il resto della sua vita al ruolo di fisioterapista specializzandosi nell’uso di apparecchi elettrici per il trattamento della gotta e dei reumatismi, e in quest’ambito ebbe senz’altro meno fortuna. Morì infatti in povertà, ma nel 2012 gli esponenti della Bartitsu Society, un gruppo che si occupa di riportare in vita gli insegnamenti di Barton-Whright, a seguito di una raccolta fondi, vollero dedicargli una lapide commemorativa presso la Sherlock Holmes Collection della Marylebone Library.
Sempre in ambito anglosassone e ancora a colpi di baffi e di bastone si difendeva oltreoceano anche il colonnello Thomas Hoyer Monstery (21 aprile, 1824-31 dicembre, 1901). Danese d’origine, affinò l’arte schermistica al servizio dell’esercito danese e girò tra la Germania e l’Inghilterra diventando un abile pugilatore (si fece conoscere per le sue doti nel circuito del bare knuckle fight inglese guadagandosi il soprannome di Bendigo) fino a quando non venne assunto dall’US Navy come istruttore di sciabola e baionetta. Questo marzialista-avventuriero, che vagò tra Sud America e Stati Uniti nel periodo in cui il paese a stelle e strisce acquisiva la stazza di potenza mondiale a suon di cannonate, fece fortuna commerciando in tabacco e aprì diverse scuole di scherma e pugilato negli Stati Uniti. La fama di combattente provetto lo precedeva e sopravvisse a diversi duelli all’arma bianca e con pistole. Si occupò anche di scherma con il bastone nel suo trattato Self-Defense for Gentlemen and Ladies: A Nineteenth-Century Treatise on Boxing, Kicking, Grappling, and Fencing With the Cane and Quarterstaff e per i suoi vetusti baffi accompagnati da uno splendido pizzetto alla Buffalo Bill, meriterebbe senz’altro un articolo dedicato che per motivi di eccessiva prolissità non proponiamo qui.
Intanto anche in Italia nello stesso periodo il maestro Giannino Martinelli (3 luglio 1866, Casalmorano – 24, aprile 1915 Milano), altro baffutissimo marzialista, codificava un trattato di scherma con il bastone il Trattato di scherma col bastone da passeggio – difesa personale – assistenza infortuni. Il nostro mustacchiuto esperto di autodifesa insegnò scherma e ginnastica a Milano nel Club d’Armi della città meneghina da lui fondato e alla sua scuola studiarono leggende dello sport quali il pluricampione olimpico Nedo Nadi. Nel compendio dedicato alla difesa personale rivolto al personale della polizia municipale di Milano (all’epoca dotata di bastone da passeggio), il nostro esperto di autodifesa mostra una conoscenza estesa dell’arma in questione toccando anche argomenti di pugilato, savate e Ju Jitsu facendo sfoggio di una conoscenza variegata nell’ambito delle arti marziali sebbene la sua attenzione sia focalizzata sul bastone. Erede degli antichi maestri d’arme italiani (già Fiore dei Liberi, Filippo Vadi e Achille Marozzo mostrarono la loro estesa conoscenza del bastone nei loro trattati tra 400′ e 500′), nel suo compendio Martinelli spiega come avere la meglio su un un avversario prediligendo colpi secchi al volto e agli arti e dividendo la trattazione della sua scienza in due parti distinte: una più marziale e se vogliamo d’esercizio puramente sportivo, volta all’uso del bastone in palestra, e una di difesa personale che è per logici motivi molto meno spettacolare ma estremamente più pratica. Il suo sistema, per certi versi è simile a quelli di Barton-Whright e Hoyer Monstery, prendendo spunto da diverse discipline e fondendole insieme in corpo unico che come lo stesso autore sostiene: “Insegna tanto l’uso del pugno, quanto l’uso del calcio o l’applicazione del contorcimento dell’arto o di speciali colpi della lotta greco-romana, a seconda delle occasioni, e specialmente a seconda delle deficienze avversarie, od anche soltanto delle condizioni in cui l’avversario si presenta per offendere“.
Una disciplina che si preannuncia completa e che ha un’etica marziale che spinge il praticante ad intervenire a difesa del più debole: “Il restare con le mani in mano, innanzi ad uno spettacolo dove il debole o l’inerme subiscono la furia di un prepotente, è così biasimevole, malgrado taluni sentenzino esser la prudenza cosa saggia“. Un’etica dell’azione che dovrebbe animare tutt’oggi ogni gentiluomo baffuto degno di questo nome e che rende questo trattato attuale nonostante il vistoso gap rispetto allo sviluppo sempre più micidiale delle moderne arti marziali. In Italia oggi diverse scuole di scherma si occupano della pratica e del recupero di questa arte come la Nova Scrimia di Villafranca dove insegna il maestro Graziano Galvani, curatore per i tipi de il Cerchio della riedizione del trattato di Martinelli, ma anche a Genova a Milano e nel resto d’Italia diverse scuole si prodigano per tenere in vita questo nobile sistema di combattimento.
Questo articolo non ha naturalmente pretese di completezza anche perchè in questa sede non ci siamo voluti occupare della storia dell’evoluzione della scherma con il bastone, dai giochi del ponte di Pisa alle battaglie cittadine combattute a colpi di Cornoler a Venezia e altre amene attività dell’Italia dei comuni e delle signorie che si sfidava a suon di bastonate. Abbiamo altresì escluso la celebre e coeva scuola di canne francese con maestri del calibro di Leboucher, Charlemont e Renaud. Anche in Italia non abbiamo avuto modo di nominare Falciani, Cerri e Ceselli che al pari di Martinelli ebbero il merito di codificare e diffondere l’arte della scherma con il bastone. Non ci siamo potuti occupare nemmeno della valente scuola spagnola con i maestri del cosìddetto Palo Canario e nemmeno di quella portoghese e il suo sistema di Jogo du Palo e abbiamo altresì deciso di non nominare il temibile Kobudo giapponese. Per il momento ai fini della nostra divulgazione baffuta ci siamo limitati a tracciare questo breve quadro. Speriamo di aver soddisfatto la curiosità dei non addetti ai lavori e al contempo di non aver deluso gli esperti di queste discipline nella speranza che quanto prima, qualche lungimirante e mustacciuto legiferatore, decida di abolire questo odioso divieto che impedisce ai baffuti gentiluomini del giorno d’oggi di avere con sé i loro inestimabili compagni di passeggiata portando una ventata d’eleganza nella sciatteria delle moderne metropoli e dando un nuovo impulso alla nobile arte della scherma con il bastone.
Per chi volesse approfondire suggeriamo la visione del documentario Everybody was Kung Fu Fighting: The Rise of Martial Arts in Britain sull’ascesa delle arti marziali in Inghilterra (disponibile su youtube). Per il nostro articolo abbiamo attinto a piene mani dal Trattato di scherma col bastone da passeggio del maestro Martinelli a cura di Graziano Galvani, Gianluca Zanini, Enrico Lorenzi e Valerio Pitalis. Per un prospetto sull’evoluzione della scherma sul bastone in Italia suggeriamo invece il volume La festa in armi di Duccio Balestracci. Sulla pratica del duello in Italia e lo sviluppo del codice cavalleresco preziosissime le numerose opere di Jacopo Gelli.
Alcuni siti internet:
www.bartitsu.org
www.novascrimia.org
http://www.ulib.niu.edu/badndp/monstery_thomas.html
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