La nostra accademia è per vocazione votata al cosmopolitismo ed è facile capire il perché: non solo nel corso degli anni orde di sodali si sono spinti negli angoli più remoti del mondo per documentare come la fine arte della rasatura venga declinata ma è anche facile immaginare che idealmente, coi nostri mustacchi, vorremmo mandare un abbraccio a tutti i sodali baffuti che per ragioni politiche si trovano privati della propria libertà.
Proprio per questo la delegazione romana dell’Accademia del Baffo ha sfruttato una manifestazione di alcuni rappresentati del popolo Curdo qualche giorno fa a piazza Venezia per dar loro tutto il nostro supporto. I manifestanti chiedevano, in tempi come questi dove tutti si riempiono la bocca di diritti civili e di autodeterminazione dei popoli, che nelle prigioni turche venissero rispettate le condizioni di base di tutti i detenuti politici.
Oltre la nobiltà della causa in sé, qualsiasi popolo dovrebbe essere libero di autodeterminarsi (vale a dire scegliere il proprio destino, le proprie istituzioni e tutto il resto), non potevamo mancare visto che i Curdi sono tra le poche Comunità a portare ancora orgogliosamente i baffi come segno distintivo di appartenenza.
Occorre quindi fare una breve digressione su chi o cosa siano i Curdi. Parliamo di una popolazione indoeuropea, vale a dire appartenente a quel ceppo che in epoca preistorica colonizzò parte dell’Eurasia dall’India alla Gran Bretagna caratterizzata da lingue, costumi, usanze e culti religiosi comuni. Per fare un esempio spiccio, ancora oggi molte parole hanno un’etimologia in comune e non solo tra le lingue europee, come apparirebbe scontato, ma anche tra l’hindi ed il farsi (lingua principale dell’Iran). I Curdi sono quindi un popolo cui noi europei siamo strettamente legati non solo da una parentela linguistica ma in alcuni casi anche somatica: non è raro trovare persone dai capelli o dagli occhi chiari.
Da sempre in lotta per la loro libertà e, appunto, l’autodeterminazione del Kurdistan (regione storica a cavallo tra Iran, Iraq, Siria, Turchia e Armenia), hanno subito nel corso degli anni angherie da quasi tutti quegli stati che non permettono loro di raggiungere la tanto agognata indipendenza.
Non ultima la Turchia, accusata a buon titolo dai manifestanti con cui abbiamo parlato di operare una vera e propria apartheid nei loro confronti e – soprattutto – di quelli di tanti prigionieri politici. Giusto per chiarire: il golpe della scorsa estate, per alcuni orchestrato dallo stesso Erdogan per rafforzarsi, è costato sinora 45 mila arresti di cui solo 5mila nei partiti di opposizione e, ancora oggi, subito dopo il discusso referendum costituzionale turco vi sono fermi di polizia ingiustificati all’ordine del giorno. A pagarne le maggiori conseguenze ovviamente i prigionieri politici curdi, sottoposti ad un regime carcerario così duro da far iniziare a ben 168, tra detenuti e detenute, uno sciopero della fame ad oltranza che si protrae dallo scorso 15 febbraio per chiedere condizioni umane e lo stop della repressione politica e militare. Oltre alla fine del regime di isolamento per il baffuto Abdullah Öcalan, rappresentante di spicco del PKK (Il Partito Curdo dei Lavoratori), condannato all’ergastolo ed unico recluso nell’isola prigione di İmralı.
Come abbiamo detto però Ankara non è certo l’unica ad effettuare una repressione sistematica nei confronti di un popolo fiero che, come quello Curdo, combatte in prima linea contro lo Stato Islamico in Siria tramite le sue milizie armate come l’YPG (letteralmente Unità di Protezione Popolare) e la YPJ (Unità di Protezione delle Donne, tutta al femminile) giunte alla notorietà dopo l’assedio di Kobane e grazie al fumetto di Zero Calcare Kobane Calling sullo stesso argomento. Dalle poche notizie che filtrano dal fronte di guerra contro lo Stato Islamico sembra che lo stesso Daesh abbia in odio il nostro popolo e le sue tradizioni, tra tutte quella di portare con orgoglio i baffi.
I nostri infatti hanno sempre portato con coraggio i mustacchi sino a farne un tratto distintivo e per rendersene conto basta dare una rapida occhiata ai numi tutelari che costituiscono il pantheon del Kurdistan: il già citato Öcalan, la quasi totalità dei membri del clan irakeno Barzani di cui oggi l’esponente più famoso è Mas’ud e via discorrendo.
La maggior parte dei curdi, ma generalizzare è comunque sbagliato, porta infatti un tipo di baffi folto e che ricorda per sommi capi quello di Stalin. Il perché sarebbe dovuto al fatto che proprio l’URSS finanziava tutti i loro movimenti indipendentisti, per la maggior parte di ispirazione comunista, in quell’ottica di internazionalizzazione della lotta di classe. Una differenza non da poco rispetto ai famosi “baffi alla turca” ed alla loro tradizionale arricciatura, sfoggiati per l’appunto dagli eredi degli ottomani e rigettati in questo caso come ricordo della loro repressione.
Con orgoglio, abbiamo detto, visto che negli ultimi tempi per cercare di fiaccarne la resistenza e le istanze indipendentiste in molti hanno cercato di sradicarne il culto: in un articolo uscito qualche tempo sul sito inglese di Al Jazera si parla apertamente del rischio che corresse la popolazione del Kurdistan irakeno a girare con i mustacchi al vento sotto il regime wahabita di al Baghdadi. Facile intuirne il perché visto che i salafiti, corrente integralista del mondo musulmano finanziata per lo più da sauditi qatarioti emiratini e che ispira per l’appunto gli uomini del califfato, sono soliti portare una barba lunga ma rasata sotto il naso come pare facesse il Profeta Maometto. Discorso identico anche nello sciita Iran dove, stando a quanto riportato dalla stampa internazionale, nelle carceri si rasano a forza proprio i baffi dei prigionieri curdo iraniani per gli stessi motivi.
È chiaro che il primo modo per combattere la resistenza di un intero popolo è quello di minarne le tradizioni e cercare di sostituirne i costumi ancestrali con i propri. Finanche quando si parli per l’appunto di baffi. Come del resto è evidente in un’ottica geopolitica di ampio respiro cosa significherebbe per Turchia, Siria ed Iran l’embrione di uno stato Curdo ai loro confini: la dissoluzione della loro integrità territoriale e l’impossibilità di contenere le istanze indipendentiste che assumerebbero l’effetto di una valanga.
Noi, ebbri di uno spirito terzo mondista mosso dalle migliori intenzioni, non possiamo che augurare il meglio possibile al popolo Curdo ed alla sua resistenza, convinti che fino a quando ci sarà anche un solo guerrigliero baffuto pronto al sacrificio, il Kurdistan non sarà mai un sogno.
©Copyright
Tutti i diritti sono riservati.